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Disaccordo con il proponente sull’entità della provvigione

In caso di disaccordo con il proponente sull’entità della provvigione, l’agente immobiliare può rifiutarsi di raccogliere la proposta di compravendita?

Premesso che non vi è una norma di legge specifica sull’argomento e che un’eventuale controversia di questo tipo, se portata davanti al Tribunale, avrebbe un esito incerto, si potrebbe ritenere che la fattispecie sia riconducibile alla previsione di cui all’art. 1759 cod. civ. secondo cui “Il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso”.

Effettivamente, l’esistenza o meno di una proposta d’acquisto è una circostanza che può influire sulla conclusione dell’affare. Quindi, il rifiuto da parte dell’agente immobiliare di ritirare la proposta d’acquisto di un aspirante acquirente – soprattutto se il rifiuto è dovuto al mancato accordo sull’entità della provvigione – potrebbe comportare una responsabilità dell’agente immobiliare nei confronti del venditore ai sensi del citato art. 1759 cod. civ.
Del resto, l’art. 1755 cod. civ. prevede che, qualora l’entità della provvigione non sia previamente concordata tra il mediatore ed i suoi clienti, essa sia dovuta nella misura stabilita dagli usi locali (ossia gli usi accertati e pubblicati dalla Camera di Commercio nell’apposita Raccolta degli Usi).

Diverso sarebbe il caso in cui l’aspirante acquirente voglia formulare una proposta d’acquisto ad un prezzo nettamente inferiore a quello richiesto dal venditore. In questo caso, ritengo che il rifiuto dell’agente immobiliare a raccogliere la proposta sarebbe valutato diversamente in termini di responsabilità.

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Avvocato Ernesto Marchese del Foro di Milano
Tel. 02 76011978

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La proposta di acquisto sia condizionata all’ottenimento di un mutuo

Nel caso in cui la proposta di acquisto sia condizionata all’ottenimento di un mutuo, cosa succede se il mancato avveramento della condizione entro il termine indicato nella proposta stessa sia dovuto alla presenza di difformità urbanistico-edilizie non ancora sanate? L’acquirente può pretendere una proroga del termine fino alla sanatoria delle difformità da parte del venditore?

Normalmente, il mancato avveramento della condizione (ossia, in questo caso, la mancata concessione del mutuo) entro il termine previsto rende la proposta (e, quindi, il contratto preliminare di compravendita originatosi dall’accettazione della proposta) definitivamente inefficace.
In questi casi è consigliabile inserire nella proposta d’acquisto un obbligo specifico del venditore a sanare le difformità entro un determinato termine, ossia in tempo utile ai fini della perizia della banca.
Diversamente il venditore, in mancanza di un impegno specifico in tal senso, avrebbe tempo per sanare le difformità sino alla data prevista per il rogito e, quindi, difficilmente potrebbe essere considerato inadempiente per la presenza di difformità in un momento (quello della perizia da parte della banca) anteriore rispetto alla data del rogito.

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Possibilità di far visionare l’appartamento legato all’ottenimento di un mutuo

È possibile far visionare un appartamento per il quale sia stata accettata una proposta d’acquisto condizionata all’ottenimento di un mutuo?

Ci si chiede se, a seguito di una proposta d’acquisto condizionata all’ottenimento del mutuo, regolarmente accettata dal venditore, sia possibile per l’agente immobiliare accompagnare altri clienti a visionare lo stesso appartamento.

A tal proposito va detto che, secondo l’art. 1358 cod. civ., “colui che si è obbligato o ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte”.

Ciò significa che, pur potendo far visionare ad altri soggetti lo stesso immobile per il quale è stata formulata la proposta d’acquisto già accettata dal venditore, non è possibile raccogliere altre proposte d’acquisto finché non vi sia la certezza del mancato avveramento della detta condizione sospensiva.

Ciò in quanto il semplice atto di far visionare l’immobile ad altri deve ritenersi non idoneo a pregiudicare – ai sensi della norma citata – le “ragioni” del promissario acquirente che abbia sottoscritto la proposta d’acquisto condizionata all’ottenimento del mutuo.

Nel rispetto del codice deontologico FIAIP, l’agente immobiliare non dovrà comunicare a terzi i termini della proposta già ricevuta.

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Se il rogito non viene stipulato nel termine previsto?

Se il rogito non viene stipulato nel termine previsto dalla proposta d’acquisto o dal contratto preliminare, il venditore è libero di rivendere l’immobile ad altri?

La risposta è no. Vediamo perché.

Sia la proposta d’acquisto che il contratto preliminare di compravendita contengono, solitamente, l’indicazione del termine entro il quale deve essere stipulato il rogito (ossia, il contratto definitivo di compravendita).

Va detto però che tale termine, normalmente, non viene considerato quale “termine essenziale” ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1457 cod. civ. e, quindi, il superamento di tale termine non comporta l’automatica risoluzione del contratto preliminare (si veda Cass. Sez. II, 28.10.2004 n. 20867 secondo cui nel preliminare di compravendita il carattere essenziale del termine previsto per la stipulazione del rogito non può desumersi nemmeno dalla mera locuzione di stile “entro e non oltre” che lo abbia accompagnato).

In questi casi, se il rogito non è stato stipulato per inadempienza del promissario acquirente, il venditore ha interesse a liberarsi dal vincolo assunto con il contratto preliminare per essere poi libero di rivendere l’immobile ad altro acquirente.

Per fare questo il venditore deve “provocare” la risoluzione del contratto preliminare mediante una diffida ad adempiere da inviare all’acquirente ai sensi dell’art. 1454 cod. civ., oppure esercitando il recesso dal contratto preliminare ai sensi dell’art. 1385 cod. civ.

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Attestato di Prestazione Energetica dell’immobile

L’agente immobiliare deve verificare l’Attestato di Prestazione Energetica dell’immobile?

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 24534 del 9.08.2022, pur riconoscendo il principio consolidato secondo cui “il mediatore non è tenuto in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell’adempimento della sua prestazione, specifiche indagini di natura tecnica al fine di individuare circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell’affare a lui non note”, ha affermato il seguente principio: “il mediatore è tenuto, secondo il criterio della media diligenza professionale, a rendere le informazioni sul rendimento energetico (cd. classe energetica) dell’ immobile oggetto dell’affare intermediato fin dal momento in cui ne effettua la relativa pubblicità, con la possibilità di visionare la relativa documentazione, trattandosi di informazioni funzionali alla determinazione dell’acquirente in ordine all’acquisto dell’ immobile”.

Nel caso di specie, l’agente immobiliare, che non aveva esibito al proponente l’attestato di certificazione energetica, pur avendo dato atto nell’annuncio che si trattava di immobile in classe energetica “G”,  aveva sostenuto la tesi che il mediatore non abbia obblighi di informazione nei confronti dell’acquirente con riguardo alla categoria energetica dell’immobile.

Secondo la Corte di Cassazione, invece “gli intermediari, al fine di effettuare correttamente la pubblicità, dovevano inevitabilmente disporre, già al momento di pubblicizzare l’immobile, di tutte le informazioni sulle prestazioni energetiche con la possibilità di visionare la documentazione per avere un’esatta fotografia della situazione energetica dell’ immobile trattato (da riferire agli interessati clienti) e così poter indicare nell’annuncio notizie verificate. Invero, se l’annuncio doveva riportare l’ indice di prestazione energetica è giocoforza riconoscere che l’agente doveva avere visionato la relativa documentazione”.

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Vendere tramite la propria agenzia

Può un agente immobiliare vendere tramite la propria agenzia un appartamento di proprietà di un parente? Può chiedere un compenso al parente ed al cliente?

Per rispondere al quesito è necessario considerare il requisito della “imparzialità” che, notoriamente, viene richiesto al mediatore nello svolgimento della sua attività.
Il concetto di “imparzialità” viene delineato dall’art. 1754 del codice civile secondo cui il mediatore non deve essere “legato ad alcuna delle parti da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”.
Dunque, il concetto di “imparzialità” richiede che il mediatore non abbia rapporti di “collaborazione” (in tal senso il mediatore si distingue dall’agente di commercio che invece, pur svolgendo un’attività simile, collabora con la parte venditrice), di “dipendenza” (ovviamente il mediatore non può lavorare alle dipendenze di una delle parti) o di “rappresentanza” (ossia, il mediatore non può agire quale rappresentante di una delle parti e, in tal senso, si distingue dal mandatario che, nel caso di mandato con rappresentanza, opera quale rappresentante del mandante).
Tale è dunque il perimetro entro il quale viene configurato il requisito della “imparzialità” del mediatore.
In altre parole: l’imparzialità viene meno se il mediatore ha rapporti “di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza” con una delle parti intermediate. In aggiunta a ciò, la giurisprudenza ha affermato che l’imparzialità viene meno in presenza “di qualsiasi altro rapporto che possa rendere riferibile al dominus (ossia al cliente) l’attività dell’intermediario” (si veda Cassazione 1.07.1997 n. 5845).


Venendo ora al quesito, la presenza di un rapporto di parentela tra il mediatore ed una delle parti intermediate fa venir meno l’imparzialità dello stesso mediatore?
La giurisprudenza ha escluso che la sussistenza di un rapporto di parentela determini, automaticamente, il venir meno della imparzialità che, come detto, viene richiesta al mediatore.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23842 del 18.09.2008 (pronunciata in un caso in cui la mediazione riguardava la stipula di un contratto di locazione immobiliare ed il mediatore era genero del socio accomandante della società locatrice), ha affermato il principio secondo cui “non è sufficiente a configurare un conflitto di interessi tra il mediatore e una delle parti (con conseguente difetto dei requisiti di imparzialità e neutralità di cui all’art. 1754 cod. civ.) il rapporto di parentela o di affinità fra il mediatore ed una delle parti che hanno concluso l’affare”.
Si veda altresì la sentenza n. 5845 dell’1.07.1997 (pronunciata in un caso in cui il mediatore era figlio del venditore) con cui la Corte di Cassazione ha affermato che l’imparzialità “viene meno solo allorchè, in concreto, il mediatore sia portatore degli interessi di una delle parti nella relazione con l’altra. Non basta, invero, che il mediatore sia figlio di una delle parti messe in relazione per conclusione dell’affare; quel che conta è che il mediatore, anche se figlio di uno dei futuri contraenti, caratterizzi la sua azione in termini di neutralità rispetto alle parti in modo che la sua attività non possa ritenersi riferibile al padre, dominus dell’affare”.
Dunque, per escludere il requisito dell’ “imparzialità” e, quindi, il diritto alla provvigione, si dovrebbe dimostrare che il mediatore ha agito non con neutralità, ma favorendo una delle parti (ossia, il parente). Ciò in quanto il fatto puro e semplice che vi sia un rapporto di parentela, o di affinità (l’affinità è il vincolo che lega un coniuge ai parenti dell’altro coniuge), tra il mediatore ed una delle parti intermediate non determina un conflitto di interessi e non fa venir meno il diritto alle provvigioni.
Diverso sarebbe il caso in cui l’attività di mediazione abbia per oggetto la vendita di un bene che è (anche) di proprietà del mediatore (come accadrebbe, ad esempio, nel caso di bene acquistato dal coniuge in regime di comunione patrimoniale). In tal caso, ovviamente, sussiste un conflitto di interessi che esclude il diritto alla provvigione mediatoria.

 

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Vendere i beni immobili ricevuti per successione

Per vendere i beni immobili ricevuti per successione è sufficiente aver presentato la denuncia di successione?

No. Vediamo perché. Spesso gli agenti immobiliari si trovano a trattare la vendita di beni immobili provenienti da successione per causa di morte.
Di solito, facendo una visura ipotecaria sul soggetto venditore, risulta trascritta (“a favore” dello stesso venditore e “contro” il soggetto defunto) la denuncia di successione.
Tale trascrizione, però, ha una valenza fiscale e non attribuisce ai soggetti chiamati all’eredità la proprietà dei beni caduti in successione.
Coloro che sono chiamati all’eredità per poter vendere i beni caduti in successione devono prima diventarne proprietari, ossia devono diventare “eredi”.
Perché ciò avvenga è necessaria l’accettazione dell’eredità (che può essere fatta in forma “espressa”, oppure in quella “tacita”).
Spesso, i chiamati all’eredità non effettuano l’accettazione di eredità in forma “espressa” per evitare i costi dell’atto notarile che è richiesto a tale scopo.
In tali casi l’accettazione di eredità viene fatta in forma “tacita” mediante il compimento di un atto che denota implicitamente (tacitamente) la volontà di accettare l’eredità, ossia, appunto, la vendita di uno o più dei beni caduti in successione.
In altre parole, il Notaio che riceve l’atto di vendita di uno dei beni caduti in successione utilizzerà tale atto per effettuare due trascrizioni in  Conservatoria: la trascrizione dell’accettazione di eredità (che viene eseguita “a favore” dello stesso venditore e “contro” il soggetto defunto) e la trascrizione della compravendita (che viene eseguita “a favore” del compratore e “contro” il venditore).
Ovviamente questa formalità aggiuntiva (la trascrizione dell’accettazione di eredità, appunto) ha un costo aggiuntivo rispetto a quello dell’atto di compravendita e tale costo deve essere sostenuto dal venditore.
Quindi, per evitare malintesi e/o discussioni al momento del rogito, l’agente immobiliare dovrà verificare preliminarmente se il venditore ha accettato l’eredità e, in mancanza di ciò, dovrà informare lo stesso venditore della necessità di sostenere questo costo aggiuntivo al momento del rogito.

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La proposta d’acquisto

La proposta d’acquisto, una volta accettata, diventa un contratto preliminare e giustifica la richiesta di pagamento delle provvisioni? Risposta: non sempre.
 
Se il testo della proposta d’acquisto prevede la successiva stipulazione di un contratto preliminare, seguito poi da un contratto definitivo di compravendita, la proposta viene considerata come un “preliminare di preliminare” che non consente la richiesta di provvigioni mediatorie.
Questa è l’interpretazione giurisprudenziale oggi prevalente: si veda a tal proposito Cass. 19.11.2019 n. 30083 e Cass. 10.04.2020 n. 7781 secondo cui “In tema di mediazione immobiliare, deve essere escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare, come nel caso in cui sia stato stipulato un cd. “preliminare di preliminare”, costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento”.
 

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Difformità urbanistico-edilizie

Quando la regolarizzazione dell’immobile promesso in vendita richiede modifiche allo stato di fatto visionato dall’acquirente, il venditore può apportare tali modifiche se la proposta d’acquisto e/o il contratto preliminare non lo prevede?
Il bene immobile promesso in vendita, per essere compravenduto, deve avere (quantomeno al momento della stipula dell’atto notarile di trasferimento della proprietà) una legittimità urbanistico-edilizia ai sensi della legge 28.02.1985 n. 47 e del D.P.R. 6.06.2001 n. 380 ed una conformità nel suo stato di fatto rispetto alle risultanze catastali ai sensi dell’art. 29, comma 1-bis, della legge 27.02.1985 n. 52. Pertanto, se al momento della contrattazione preliminare l’immobile presenta delle difformità urbanistico-edilizie o catastali, queste difformità vanno sanate a cura e spese del promittente venditore prima della stipula del rogito notarile. Tuttavia, in mancanza di un accordo specifico tra le parti, il venditore non può mutare lo stato di fatto o la consistenza dell’immobile per ottenere tale sanatoria.
 

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Compravendita immobiliare

Se in un contratto preliminare viene stabilita una data entro la quale un immobile deve avere una conformità urbanistica e catastale, questo requisito può essere disatteso?
Il bene immobile promesso in vendita, per essere compravenduto, deve avere (quantomeno al momento della stipula dell’atto notarile di trasferimento della proprietà) legittimità urbanistico-edilizia (ai sensi della legge n. 47/1985 e del D.P.R. n. 380/2001) e conformità nel suo stato di fatto rispetto alle risultanze catastali (ai sensi dell’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985).
Qualora nei documenti contrattuali firmati dalle parti (contratto preliminare o proposta di acquisto) venga stabilita una data antecedente al rogito, entro la quale la conformità urbanistico-catastale debba sussistere, il promittente venditore dovrà ottenerla entro tale data. Diversamente, si profilerà un’inadempienza del promittente venditore che potrebbe legittimare il promissario acquirente a rifiutare il perfezionamento della compravendita.
 

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